Cosa significa sell in, cosa sell out e come utilizzarli per calcolare il sell through? Più ancora, come descrivono le vendite in un negozio di abbigliamento?
I termini che abbiamo citato sono parte di quei KPI del fashion retail di cui abbiamo parlato qualche tempo fa. Sono, cioè, degli indicatori importanti per guardare con un approccio analitico alla strategia commerciale di un negozio di abbigliamento. E, naturalmente, per fare in modo che sia corretta.
Nello specifico, tanto il sell in quanto il sell out guardano alle vendite dal punto di vista del brand di abbigliamento. In maniera diversa, infatti, esprimono il valore e l’efficacia delle strategie di bilanciamento stock nei negozi.
Fare in modo che si raggiunga un equilibrio ottimale tra sell in e sell out significa massimizzare il valore di sell through. Cioè di un altro KPI, che analizzeremo di seguito e che è forse il vero indicatore dell’efficacia di una strategia di vendita. Il sell through può essere ottimizzato, tra l’altro, lavorando su brand awareness e reputation.
Troppi inglesismi o aziendalese? Niente paura, andremo con ordine.
Cosa si intende per sell in
Una traduzione letterale è “vendita all’ingresso”. Un’altra, più comune: “vendita all’ingrosso”. In sostanza, il sell in riguarda la fornitura di articoli a un intermediario commerciale: un distributore, un grossista o direttamente il rivenditore, quindi il negoziante.
Parlando di numeri, quindi, il valore di sell in è quello della merce venduta dai produttori a questo intermediario. Che nel nostro caso identificheremo nel rivenditore finale, il negoziante.
Ora, un produttore ha naturalmente interesse a vendere a questo intermediario. Dovrebbe però stare attento ad allineare la quota di merce venduta a quest’ultimo a quella che effettivamente è in grado di smaltire.
E qui entra in gioco il sell out.
Cosa si intende per sell out
Come è facile intuire, è ciò che accade all’altro lato della catena di rifornimento. Il sell out (traduzione letterale “vendita in uscita”) viene a volte inteso come vendita completa. Non è raro vederlo tradotto come “tutto esaurito” o, anche in senso figurato, “svendita”, ma non è esatto, almeno ai nostri fini.
Dal punto di vista commerciale, infatti, il sell out è la quantità di merce che effettivamente passa dai produttori ai distributori agli utenti finali, i veri clienti. Quindi la merce in grado di raggiungere il consumatore, una volta acquistata dal negoziante.
Ancora dal punto di vista del produttore, è sicuramente positivo avere elevati valori di sell out. Occorre però, anche in questo, caso fare in modo che siano allineati a quelli di sell in.
In sostanza, che si abbia un valore di sell-through adeguato, come spieghiamo di seguito.
Il sell through: cos’è e come calcolarlo
Cosa si intende per sell through? È in sostanza il vero KPI del processo di vendita che stiamo osservando. Una sua definizione letterale è “vendita attraverso”; altre, più comuni, sono “volume di vendita”, “giro d’affari” o “vendita” tout-court. Nel nostro caso, è il rapporto tra ciò che viene immesso in negozio e ciò che ne esce.
Infatti, la formula del sell-through è la seguente:
sell out / sell in x 100
Come puoi notare, è un valore percentuale che identifica il rapporto tra la merce acquistata e la merce venduta. Per un produttore (ma anche per il negoziante) si tratta di un KPI cruciale, perché gli consente di rendersi conto dell’effettiva performance dei suoi articoli in negozio.
Ma non è soltanto una questione di gradimento dei consumatori finali. Il sell through aiuta anche a capire quanto siano bilanciati i rifornimenti rispetto alle esigenze.
Qui si capisce forse meglio la stretta relazione tra sell in e sell out e il perché non conviene spingere su uno soltanto degli elementi. Valori troppo elevati di merce in ingresso rispetto a quella in uscita, infatti, portano ad accumulare giacenze e invenduto. Al contrario, valori di sell out troppo elevati possono essere all’origine di rotture di stock e difficoltà di replenishment.
La linea mediana, come spesso accade, è quindi la migliore.
Come migliorare il sell through?
Per evitare uno sbilanciamento degli stock, che non conviene a nessuno, le parti in causa hanno diverse possibilità.
Una è quella di adottare una strategia di sell out più marcata. Accade spesso nella GDO, dove i prodotti dei vari marchi competono sugli scaffali, ma anche nell’abbigliamento, quando i vari brand devono conquistare gli spazi migliori in vetrina e nei reparti.
Cosa può fare quindi un produttore per garantire che ciò che vende a un negoziante non resti poi a fare la polvere in reparto? Può agire su tre fattori chiave:
- Convenienza
- Visibilità
- Esclusività
Il primo caso è quello più classico. Il brand concorda tagli ai prezzi di acquisto che poi si ripercuotono sui prezzi di vendita finali, così da offrire un vantaggio competitivo nei confronti di altri brand. Una strategia di sell out può anche prevedere forme di promozione diretta al cliente finale, con campagne di marketing mirato o altre iniziative.
Ciò porta al secondo punto: la visibilità. Qui entra in gioco quel lavoro su awareness e reputation di cui parlavamo all’inizio. Se un brand riesce ad attirare l’attenzione su di sé, infatti, può innescare un circuito virtuoso: i suoi articoli verranno rapidamente smaltiti dal negoziante, con ottimi valori di sell through e, anzi, il rischio di un eccessivo sell out. Che però non è detto sia un male.
E qui veniamo al terzo fattore: l’esclusività. Che può essere garantita ai rivenditori con accordi preferenziali: un quantitativo fisso di scorte o, appunto, l’esclusiva su determinati capi. Ma può essere attuata anche nei confronti dei clienti finali, creando quell’allure che è da sempre uno degli elementi chiave del marketing e che va sotto il nome di principio di scarsità.
Automatismi nel bilanciamento degli stock
Una opzione ancora migliore per bilanciare gli stock è affidarsi alla tecnologia. Strumenti di gestione digitale possono infatti aiutare a leggere meglio i dati di vendita e allinearli alle effettive esigenze del negoziante.
Grazie all’analisi dei dati, magari quella incorporata nel nostro software gestionale Etos, si può verificare in tempo reale lo stato dei rifornimenti inviati ai rivenditori. È un sistema in uso per esempio nei franchising di abbigliamento, dove spesso si adottano automazioni che migliorano i processi di riassortimento.
Una pratica del genere può essere gestita interamente in digitale, con replenishment automatizzati al raggiungimento di determinate quote soglia. Collegandosi direttamente ai negozi partner, i produttori introducono così la merce sul mercato in maniera più oculata. Evitano per esempio l’accumulo di giacenze in negozio, e magari possono distribuire meglio i rifornimenti secondo i trend di vendita.
In questo senso, Etos può risultare davvero utile, perché offre dati e pieno controllo su vendite e magazzino. Anche per questo il nostro software è utilizzato con successo da operatori del retail B2B e gestori di catene di negozi.
Un caso notevole è quello di Maledetti Toscani, brand di calzature, abbigliamento e accessori attivo con più punti vendita sia in Italia sia all’estero. Utilizzando Etos, l’azienda riesce oggi a ottimizzare le sue strategie di rifornimento in base ai dati di vendita. Analizzando valori di sell in e sell out, e quelli corrispondenti di sell through, può infatti riassortire i punti vendita evitando gli sprechi e massimizzando i profitti.
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